Giuseppe Dilauro

Temporary manager – Consulente marketing omnicanale
Formatore

Il retail mix al tempo dell’industria 5.0

esempio di punti di contatto per effettuare acquisti

Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad una rivoluzione nelle abitudini di acquisto: la pandemia ha portato gli italiani a considerare sempre di più il digitale non solo come mezzo di comunicazione e informazione ma anche come strumento di lavoro e acquisto di prodotti e servizi. Il retail mix al tempo dell’industria 5.0

Le aziende, di conseguenza, devono rivedere quello che è il loro approccio al retail andando ad effettuare tutta una serie di attività:

  • Analizzare e conoscere a pieno le abitudini di acquisto del consumatore a cui si rivolgono
  • Avere il quadro generale della distribuzione in Italia
  • Sul piano marketing e commerciale capire per ogni canale distributivo la sua rilevanza economica e strategica
  • Conoscere a pieno le potenzialità del digitale così da integrarle con le attività che si svolgono nei canali fisici

Andiamo per gradi:

Abitudini di acquisto e quadro distribuzione in Italia: sappiamo che l’Italia è uno dei paesi con il più basso indice di digitalizzazione e anche quando si parla di acquisti online siamo ancora distanti dagli altri paesi.

Il retail mix al tempo dell’industria 5.0

La pandemia di sicuro ha aiutato ad accelerare questo processo ma ancora c’è tanto da lavorare su questo fronte. Basta guardare i dati GFK per avere un’idea:

Fonte: GFK dati retail 23.06.2020
Fonte: GFK 23.06.2020

Sia chiaro: non bisogna buttarsi a capofitto nell’online! Dico che prima di strutturare un qualsiasi piano commerciale, bisognerebbe chiedersi:

  •  “il mio consumatore dove acquista?”
  • “che rapporto ha con il commercio elettronico?”
  • “Se e quando acquista online preferisce il pagamento con carta di credito o contrassegno?”

Capire se sviluppare una propria piattaforma e-commerce o in alternativa entrare in un e-talier (Amazon, Ebay ecc) o gestire nello stesso momento entrambe le piattaforme sono delle scelte strategiche da non sottovalutare. Son passati i tempi in cui bastava inserire la referenza su Amazon e automaticamente le vendite andavano da sole. Adesso la competizione è così alta che bisogna lavorare su diversi fronti: pagine prodotto, Amazon A+ (una sorta di pagina di brand, uno shop in shop digitale, dove “esponi” al tuo consumatore tutto il range di prodotto in maniera molto più curata ed approfondita con contenuti foto e video), piano di comunicazione con target di conversione e chi più ne ha più ne metta!

Quindi prima di procedere con lo sviluppo di tutta una strategia legata al digital una volta risposto alle domande legate al consumatore dobbiamo rispondere a due domande legate alla nostra strategia di brand:

Rilevanza: dal punto di vista di rilevanza di tipo economico il canale che sto analizzando che tipo di impatto di fatturato può avere sul mio business?

Se parliamo di rilevanza di tipo strategico quanto questo canale può aiutarmi a raggiungere gli obiettivi di posizionamento che mi sono prefissato?

Pedine per gestione strategia

Questo perché ci possono essere dei canali che se in linea con il nostro target possono permetterci di fare volumi importanti senza dover investire direttamente in un e-commerce di proprietà (uno dei canali potrebbe essere Amazon) in altri casi può invece verificarsi che siamo presenti in una piattaforma che fa meno volumi ma che dal punto di vista di posizionamento di brand aiuta a far percepire la nostra marca come “premium”, “fashion” o “hi-tech” ecc (es. Rinascente, Harrods ecc).

Una volta data la risposta a queste domande si passa poi a quella fatidica: avendo risorse scarse (budget da dedicare ad iniziative di canale, key account che seguano il retailer, ecc) come do pesi e priorità ai diversi canali così da sviluppare il giusto retail mix?

Qui mi sono accorto che spesso il metro di paragone tra un retailer ed un altro non è sempre chiaro. Si confrontano i retailer solo con i margini che chiedono tralasciando tutte quelle clausole contrattuali che spesso comportano basso margine complessivo a fine anno. Costi di trade marketing per lo spazio a scaffale, premi di fine anno, sconti extra, ecc costituiscono oneri aggiuntivi che sommati al margine richiesto riducono la profittabilità complessiva. Ormai il retailer (sia fisico che online) genera fatturato non solo dalla vendita di beni ma anche da tutta una serie di servizi che può offrire (CRM, Distribuzione capillare, pubblicità ecc).

Per riassumere il tutto in poche righe faccio riferimento al libro “Go to market” di Sandro Castaldo che presenta uno schema di conto economico a livello di canale che può essere utile a mettere nero su bianco tutte le voci di costo relative ad un canale. Solo in questa maniera possiamo realmente capire quanto marginiamo alla fine all’interno di una catena e quali possono essere realmente i canali per noi potenziali non solo in termini di fatturato ma soprattutto in termini di profitto!

Il retail mix al tempo dell’industria 5.0

Nello specifico:

Esempio tabella comparativa per confronto retailer
Esempio di tabella comparativa

Questa tabella permette di effettuare una comparazione e di scegliere i canali su cui puntare sia da un punto di vista strategico che economico.

Attenti però a capire la strategicità di alcuni contributi richiesti dalla grande distribuzione:

  • Percentuale come contributo per la piattaforma logistica: con questo distributore consegnando in un solo hub riesci ad essere presente in tutta Italia e, in alcuni casi, anche in tutta Europa. Per capire se la percentuale richiesta è congrua dovresti chiederti quanto investire / spendere se dovessi andare tu a consegnare in tutte le aree che vorresti coprire?
  • Vengono messi in vendita banner o spazi virtuali per creare “shop in shop” all’interno della loro piattaforma: è un mezzo di comunicazione come un altro. Perché dovremmo pagare la comunicazione su Facebook e non quella sulle piattaforme online? La cosa che si potrebbe fare in fase di stesura del contratto è accordare un numero di banner gratuiti a supporto di alcuni lanci o promozioni durante l’anno. Questo potrebbe diminuire i costi delle attività a supporto del sell out.
  • Margini richiesti da Amazon: qui ogni volta che chiedo di mettere nero su bianco voci di costo ai relativi servizi vedo nelle facce sempre dei punti interrogativi. Bisogna capire: che tipologia di servizio sta garantendo Amazon? su quanti paesi? che tipo di logistica? Che vantaggi di costo ho da questi servizi? Che volumi sviluppa potenzialmente la piattaforma? Riempiendo tutte le voci del conto economico saremo realmente in grado di capire tutto lo scenario.

Che sia chiaro: non lavoro per Amazon o per altro distributore e questo articolo non vuole convincere ad investire in un canale piuttosto che in un altro; il mio scopo è condividere l’approccio da me utilizzato per capire come un possibile partner distributivo possa aiutare rispetto al piano strategico. È ovvio che ogni attore che vado a inserire nel mio piano, chiederà una percentuale del valore che vado a creare. Sta a noi capire come riuscire a massimizzare i punti di contatto con i nostri consumatori, far avere loro un’esperienza d’acquisto in linea con le loro aspettative senza mettere a repentaglio posizionamento del marchio e marginalità dell’azienda.

E tu? Sei contento della tua distribuzione? Se vuoi confrontarti scrivimi su LinkedIn o info@g-mail.it

Il retail mix al tempo dell’industria 5.0

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